venerdì 14 agosto 2015

WOODSTOCK - Tre giorni di pace, amore e musica - Michael Wadleigh (1970)

Titolo originale: Woodstock
Regia: Michael Wadleigh
Con: Jimi Hendrix, The Who, Janis Joplin, Canned Heat, Joe Cocker, Santana
Durata: 184 min
Paese: USA    
Voto globale: **** 1/2
Voto categ. (document.): *****!



15, 16 e 17 Agosto 1969. Bethel, piccola cittadina dello stato di New York a pochi chilometri da Woodstock. Un gruppo di organizzatori mette su un festival destinato a cambiare la cultura pop e del rock n' roll. Un evento oceanico a cui in teoria avrebbero dovuto partecipare solo 50.000 persone ma che vede alla fine l'arrivo di quasi un milione di spettatori e 32 band ed artisti di successo. Oltre ovviamente alla presenza di generose quantità di lsd, cannabis, acidi e altro. Un festival che si propone di andare al di là di un semplice ritrovo musicale e di essere invece una vera e propria rottura con le generazioni del passato, una nuova fase nella storia della convivenza tra le persone nonché il vero manifesto della utopistica, ingenua e spensierata stagione hippy e dei figli dei fiori.


Se è vero che il documentario è la rappresentazione fedele in immagini di ciò che è accaduto in un dato momento e luogo, allora quale migliore occasione per un documentario sul leggendario festival di Woodstock? Oramai entrato nell'immaginario collettivo come esempio di evento musicale esagerato e senza limiti oltre che ritrovo di una gioventù che potrebbe essere considerata in fondo, “allo sbando”. Ma siamo sicuri che ne sia esistita una che non lo fosse? Ottimo questo lavoro di Michael Wadleigh, a cui partecipa in aiuto regia Martin Scorsese, che è praticamente contemporaneo al festival essendo stato realizzato l'anno seguente. Un bel ritratto di quei giorni sicuramente folli e confusionari, eppure coerenti con gli ideali che ci si era prefissi di ottenere. Quello che stupisce è che nonostante la massiccia presenza di allegri fattoni, personaggi strambi, insegnanti di yoga ma anche tanti semplici ragazzi che fanno la fila per una telefonata rassicurante alla mamma, ci sia comunque un reale clima pacifico e disteso. Si avverte una vera e propria comunità che convive senza attriti e tensioni e questo è davvero soprendente visto le misure di sicurezza che al giorno d'oggi sarebbero purtroppo inevitabili e necessarie per organizzare anche eventi di più modesta portata e diffusione. Intenerisce lo speaker che al microfono informa che “c'è in giro un acido dannoso al colore di caffè ma che non è avvelenato, è solo tagliato male e chi se la sente di provare può al massimo prendere mezza pasticca”. Oppure le raccomandazioni sul coprirsi per bene in vista di una breve ma intensa pioggia che si abbattè sul festival il 17 Agosto. Fa sorridere quando uno dei partecipanti fa riferimento a degli elicotteri che avrebbero contaminato le nuvole e manipolato il clima in modo da far piovere. C'erano le scie chimiche a Woodstock? O era solo il delirio di un allucinato? È bello il fatto di non poterlo sapere.


Se esistesse una macchina del tempo una capatina a Woodstock in quei giorni del 1969 sarebbe sicuramente obbligata. Molto efficace l'alternanza tra il tanto tempo lasciato alla musica (e c'è una qualità e varietà incredibile tra gli Who, Hendrix, Joan Baez, Canned Heat, Santana, Jefferson Airplane, Joe Cocker e molti altri) e quello dedicato a momenti curiosi, aneddoti ed interviste al pubblico e agli entusiasti organizzatori, che erano consci delle gravi perdite e del fallimento finanziario del festival eppure ne parlavano con un sorriso sincero. I Beatles non parteciparono perché Lennon pose la condizione di far esibire la Plastic Ono Band che fu invece scartata. E meno male.

martedì 11 agosto 2015

SEVEN - David Fincher (1995)

Titolo originale: Se7en
Regia: David Fincher
Con: Morgan Freeman, Brad Pitt, Gwyneth Paltrow, R. Lee Ermey, Richard Roundtree
Durata: 122 min
Paese: USA    
Voto globale: **** 1/2
Voto categ. (thriller): *****

In una città piena di degrado e violenza due detective vengono affiancati ed iniziano ad occuparsi di un caso molto particolare. Il primo è Somerset, nella polizia da una vita e pronto all'imminente pensione, uomo di cultura, saggio ma anche disilluso e pieno di amarezza per un mondo che va nella direzione sbagliata. Il secondo è Mills, giovane ed esuberante, in servizio da pochi anni e mosso da azioni più istintive e dirette. I due si conoscono in occasione del ritrovamento del cadavere di un uomo obeso che si crede morto per cause naturali e che invece si scopre essere il primo di una serie di omicidi collegati. Dapprima ostili e diffidenti a vicenda, Mills e Somerset iniziano a collaborare.

Fincher realizza un film che ha svariati meriti e davvero pochi difetti. Il complimento più grande che si potrebbe fare a Seven è il fatto di avere uno stile. Concetto che dovrebbe essere più o meno fondamentale e che invece nella stragrande maggioranza dei casi viene disatteso. Seven ha stile, uno stile preciso che risalta in ogni aspetto: regia, fotografia, dialoghi, atmosfere. Tutto segue una direzione precisa, egregiamente orchestrata. Una sceneggiatura ben costruita e personaggi ben caratterizzati, seppur forse un po' stereotipati, ci guidano lungo una serie di omicidi mossi da una sorta di vendetta morale e architettati da un killer spietato e crudele ma anche colto e raffinato. Tanta riflessione, indizi su indizi, deduzioni e anche una buona dose d'azione ben inserita e giustificata nel contesto fanno sì che Seven si snodi senza intoppi per tutta la sua durata. Sempre presente una atmosfera cupa, grigia, pioviggionosa e senza scampo nella quale si aggirano personaggi loschi. Perfino le figure dei due detective, che in teoria dovrebbero essere positive, sembrano portare il peso di un male insopportabile. Regia eccellente e fotografia ottima, che fa continuo ricorso a luci diegetiche, andando ad illuminare ogni possibile angolo della scenografia. Scelta poco realistica ma d'effetto. Super cast con Morgan Freeman, Brad Pitt e Gwyneth Paltrow.


Seven si è giustamente ritagliato un posto d'onore nel genere thriller/poliziesco e i suoi schemi sono stati riproposti svariate volte in film venuti successivamente. La pellicola riesce a coinvolgere fin da subito ed attira e tiene alta l'attenzione grazie al fatto che una volta capita la logica che sta dietro agli omicidi essi diventeranno sempre più attesi ed inevitabili. Ruolo del killer affidato ad un grande nome che chiese espressamente di non comparire nei titoli di testa al fine di soprendere del tutto il pubblico. Ed è infatti una scelta ottima, visto l'effetto notevole. Davvero ben fatta la scena della biblioteca sulle note di Bach. Finale incredibile e di grande impatto, senza speranza e che lascia davvero di sasso. C'è da dire però che al di là delle grandi interpretazioni e degli ottimi meriti tecnici c'è anche qualche difetto qua e là, in particolare il modo in cui Somerset e Mills riescono a risalire all'abitazione del killer, davvero poco credibile. Questo nega la cinque stelle ad un film che va comunque assolutamente visto e che può di sicuro essere considerato un cult. Ottimo!

venerdì 31 luglio 2015

TORNO INDIETRO E CAMBIO VITA - Carlo Vanzina (2015)

Titolo originale: Torno Indietro E Cambio Vita
Regia: Carlo Vanzina
Con: Raoul Bova, Ricky Memphis, Giulia Michelini, Max Tortora, Michela Andreozzi
Durata: 95 min
Paese: ITA    
Voto globale: **
Voto categ. (Comm. Ita '10): **

Marco e Claudio, entrambi poco più che quarantenni, sono amici sin dai tempi della scuola. Il primo vive da molti anni un matrimonio apparentemente felice con Giulia, conosciuta al liceo. Il secondo è scapolo e vive con la madre alcoolista. Una sera Marco viene a sapere, proprio dalla moglie, che lei ha un amante e che è infelice a causa delle scarse attenzioni ricevute. Confidandosi con Claudio, Marco immagina di poter aver la possibilità di tornare al passato per non commettere l'errore di innamorarsi di Giulia. Proprio quando questo desiderio irrealizzabile è destinato a rimanere solo una fantasia, i due vengono investiti da un'auto e perdono conoscenza. Al risveglio si ritrovano nel cortile del loro liceo nell'anno 1990.

Film leggero che si inserisce nel filone di commedie italiane con protagonisti adulti che in un modo o nell'altro si trovano a rivivere dinamiche adolescenziali e crisi d'identità. Qui la particolarità, almeno per il panorama italiano e per il genere, è l'insolito viaggio nel tempo – a dir la verità, casuale e abbozzato malamente – che fornisce però l'occasione per leggeri spunti di riflessione sui tempi che cambiano nonché una costante nostalgia di fondo. Questo perché Torno indietro e cambio vita tratta dei tempi della scuola, delle prime cotte e delle relative insicurezze tutto rivisto con gli occhi due adulti fatti e finiti, Raoul Bova, nel solito ruolo del bello e incompreso e Ricky Memphis, in quello congeniale del personaggio spalla più genuino e schietto. A differenza del film culto sui viaggi nel tempo per antonomasia, Ritorno Al Futuro, e dell'ottimo e nostrano Non ci resta che piangere, in questa storia non ci si pone nessun problema etico nell'agire sugli eventi del passato per modificare il futuro, come se tutto l'universo ruotasse intorno alle vite di Marco e Claudio e le loro azioni non avessero effetti anche sugli altri. I due protagonisti, tra l'altro, ritornano al 1990 senza imbattersi nei loro se stessi del passato in quanto vi si sostituiscono. Allo spettatore e tra loro appariranno con le sembianze del 2015, mentre tutti gli altri personaggi dell'epoca li vedranno con le fattezze di normali diciottenni. Inizio farraginoso con scene collegate in maniera non certo perfetta. Carlo Vanzina in regia che fa il compito e basta. Prove attoriali non eccelse, con qualche eccezione. Max Tortora strappa più di una risata qua e là.


Non male l'idea di riprende il tema del viaggio temporale e riadattarlo in un contesto che tuttosommato potremmo definire di crisi matrimoniale. Quello che non va è il modo in cui tutto questo è stato realizzato. Bova e Memphis vengono trasportati indietro di 25 anni semplicemente subendo un incidente d'auto, a cui segue una ridicola scena al rallentatore in cui i due fluttuano in quello che dovrebbe essere un vortice spazio-tempo. Non si capisce come mai Raoul Bova, invece di allontanare sospetti e domande scomode faccia di tutto, e fin dall'inizio, per sbandierare ai quattro venti di essere in realtà un quarantenne nel corpo di un liceale invece che assecondare tutti, stare al gioco e capire come tornare al futuro. Memphis, a differenza dell'almanacco sportivo del film di Robert Zemeckis si porrà molti meno scrupoli. Un finale molto meno banale di quello che ci si poteva aspettare.

venerdì 17 luglio 2015

L'ESORCISTA - William Friedkin (1973)

Titolo originale: The Exorcist
Regia: William Friedkin
Con: Linda Blair, Ellen Burstyn, Jason Miller, Max von Sydow, Lee J. Cobb
Durata: 122 min; 132 min (integrale)
Paese: USA    
Voto globale: ****
Voto categ. (horror): **** 1/2 

Nel corso di alcuni scavi archeologici nell'Iraq del Nord un anziano sarcedote cattolico rinviene un'antica statua raffigurante il demone assiro-babilonese Pazuzu. A Washington Chris McNeil è un'attrice affermata che vive insieme alla figlia Regan, che festeggia il compleanno senza ricevere gli auguri del padre, trasferitosi da tempo in Europa. La ragazzina da sempre felice e solare, assume comportamenti anomali. Parla di Capitan Gaio, un presunto amico immaginario, si pone male con gli sconosciuti e la madre Chris inizia a sentire strani rumori in soffitta. Le cose peggiorano quando assurdi fenomeni avvengono nella stanza della piccola. La scienza sembra non dare risposte in merito.


Se si chiedesse ad un campione di 100 persone il titolo del primo film horror che possa venire in mente, di certo un buon 50% risponderà “L'Esorcista”. Questo perché, nel bene o nel male, al netto dei grandi pregi e dei difetti presenti, il film di Friedkin resta un qualcosa a cui è difficile restare indifferenti. Stiamo pur sempre parlando di una pellicola la cui visione, al tempo dell'uscita nelle sale, era accompagnata da presidi di pronto soccorso fuori dai cinema per non essere colti impreparati dai ripetuti episodi di convulsioni e svenimenti che si verificavano tra il pubblico. Di certo, reazioni eccessive per quello che resta comunque un film: pura finzione. Eppure capibili visto che, rispetto agli anni '70, siamo attualmente molto desinsibilizzati rispetto all'orrore e alle visioni disturbanti. Un titolo giusto, L'Esorcista e non L'Esorcismo, visto che la vera figura chiave della storia è Padre Karras, un giovane gesuita con approfondite conoscenze mediche e psichiatriche che affronta una dura crisi di fede. Il film è pervaso da un atmosfera cupa per tutta la durata, e non potrebbe essere altrimenti dato che ciò che è mostrato è l'insinuarsi del male assoluto in un ambiente, se vogliamo, tutto sommato felice, nonostante sullo sfondo resti un contesto familiare problematico. La sceneggiatura è costruita sapientemente, all'insegna della gradualità: gradualità nell'aggravarsi dei sintomi di Regan, che passerà da atteggiamenti maleducati a vere e proprie manifestazioni demoniache e blasfeme. Una fotografia all'altezza, attori tutti ottimi e costretti a recitare ruoli non facili, regia elegante e sicura di Friedkin che subentrò al timone dopo le rinunce eccellenti di Kubrick e Nichols.


L'Esorcista è un film iconico, che ha tutta la sua forza nel visivo: la statua di Pazuzu, gli esorcisti con le loro vesti, la croce, la bibbia, il letto della posseduta. Senza tralasciare le scene cult, che sono tante e tutte studiate con l'unico scopo di scioccare. Allo stesso tempo però, accanto alla drammaticità e all'orrore, non si può non notare un possibile e del tutto involontario effetto divertente di alcuni frangenti, quelli della Regan più “sboccata”. Il tono del film è subito ripreso da momenti più suggestivi, come quelli in cui il demonio si rivolge a Karras attraverso la voce di sua madre! Un po' di sangue, molta blasfemia, insulti e parolacce, messaggi subliminali (neanche tanto subliminali) sovraimpressi su pellicola. Linda Blair deve essersi proprio divertita a fare l'invasata. Imperfetto ma promosso e da vedere. Cult.

venerdì 10 luglio 2015

INTERSTELLAR - Christopher Nolan (2015)

Titolo originale: Interstellar
Regia: Christopher Nolan
Con: Matthew McConaughey, Anne Hathaway, Jessica Chastain, Michael Caine, John Lithgow
Durata: 169 min
Paese: USA    
Voto globale: ** 1/2
Voto categ. (fantascienza): *** 1/2 

Nel 2067, la Terra è al collasso. Tempeste di sabbia e carestie mettono in ginocchio la popolazione mondiale, ormai destinata ad un triste destino. Bisogna abbandonare il piccolo punto nell'universo che ha ospitato la vita e cercare di trovarne uno nuovo, nel buio immenso dello spazio aperto. L'ex pilota Cooper scopre insieme alla figlia una base super segreta della NASA e apprende della missione “Lazarus”, guidata dal professor John Brand, sua vecchia conoscenza, che negli anni ha spedito ben 12 coraggiosi astronauti su 12 possibili pianeti in grado di ospitare (forse) la vita. Cooper, malgrado le resistenze della piccola Murphy, accetta di mettersi a capo dell'ambiziosa spedizione che ha lo scopo di recuperare i preziosi dati sui nuovi pianeti.


Christopher Nolan è molto talentuoso. Basta dare un'occhiata alla sua filmografia che vanta titoli davvero ottimi e perfino qualche capolavoro. Il principale merito di Nolan è quella speciale attitudine ad unire elementi del classico blockbuster ad altri completamente diversi, da vero e proprio film “d'autore”. E questa è una capacità incredibile perché rende possibile realizzare film di forte richiamo sul grande pubblico pur riuscendo tuttavia a restituire un versione molto personale e, appunto, autoriale del lavoro dietro alla macchina da presa (e anche di quello in sceneggiatura, certo). In Interstellar questo talento è andato un po' perduto, perché si ha la sensazione di aver fatto il passo più lungo della gamba. A parte la giustificabile voglia di guardare a Kubrick, testimoniata banalmente ogni 5 minuti dagli echi di Also sprach Zarathustra e da altre trovate e soluzioni nel corso della pellicola - spesso comprensibili per quello che dovrebbe essere un fan di 2001 - ciò che più colpisce in negativo è la quantità eccessiva di argomenti tirati dentro nella storia. Si parla di buchi neri, agricoltura, genetica, filosofia, amore, tempo, quinte dimensioni, fantasmi, rapporto genitori-figli... Troppo, davvero troppo. Nasce il sospetto che Nolan avesse voglia di superare Gravity (e ci sarebbe voluto davvero molto poco, a livello di storia) e sapendo che la cosa sarebbe stata troppo difficile dal punto di vista tecnico abbia optato per affidarsi ad una sceneggiatura abbondante e infarcita del più vasto numero possibile di argomenti e suggestioni, in modo da compiacere un po' tutti. O forse nessuno, realmente. Perfino la regia non è che brilli particolarmente fino in fondo. Manca un guizzo, un'idea d'impatto. Apprezzabile il tentativo di cercare una presunta scientificità negli eventi trattati. Attori all'altezza, per carità, ma spesso costretti a recitare dialoghi evitabili, grotteschi o melensi. Insolito cameo a metà film. Musiche di Zimmer belle ma alla lunga pesanti!


Interstellar ha senza dubbio diviso parecchio. Di certo gli va riconosciuto il merito di trattare argomenti interessantissimi in termini accessibili. Parla in maniera efficace di relatività, almeno dal punto di vista cinematografico, e sfido lo spettatore più insensibile a non lasciarsi trasportare nella scena in cui Cooper guarda in video i messaggi che i figli gli hanno lasciato negli anni. Allo stesso tempo però resta una durata davvero eccessiva e ingiustificata, perché la cose sono spesso portate troppo per le lunghe. Davvero riuscite e spettacolari le scene dell'ingresso nel wormhole e quella sul pianeta d'acqua. Per il resto, si rimane imbarazzati dal “personaggio” del robot TARS, che pare il nipote scemo di HAL9000. Non si capisce come sia stato possibile inserire una cosa del genere visto che è ridicolo e toglie la credibilità in ogni scena in cui compare! E purtroppo la sua ingombrante presenza durerà molto, troppo! Da vedere nella ferma consapevolezza che c'è tanto di meglio, sia di Nolan che in generale. Comunque si fa vedere fino alla fine.

venerdì 19 giugno 2015

MIA MADRE - Nanni Moretti (2015)

Titolo originale: Mia Madre
Regia: Nanni Moretti
Con: Margherita Buy, John Turturro, Giulia Lazzarini, Nanni Moretti, Beatrice Mancini
Durata: 106 min
Paese: ITA    
Voto globale: ***
Voto categ. (Moretti): *** 



Due fratelli, Giovanni e Margherita, assistono la madre gravemente malata. Lei è una regista di impegno sociale ed è proprio nel bel mezzo delle riprese di un film sul dramma della perdita del lavoro che coinvolgerà anche un famoso ed eccentrico attore americano. La donna si è separata dal compagno e deve fare i conti anche con la figlia adolescente. Le cose precipitano quando i medici rendono chiaro ai due che le condizioni della madre sono irriversibili e che la morte è attesa a breve. Margherita inizia a vivere tutto in funzione del tragico ed inesorabile evento, tra sogni, pensieri confusi, i capricci dell'attore e la riflessione sul fatto di non sapersi relazionare fino in fondo con le persone che la circondano.


Un film strano. Come sempre, Moretti è probabilmente uno dei pochi registi in grado di realizzare film girati male, eppure molto belli. Si può senza dubbio partire col dire che questo non è il suo miglior film, ma forse non è nemmeno quello che ci si aspettava a questo punto. Mia Madre sembra riunire i vaneggiamenti e i pensieri metacinematografici di Sogni d'Oro con il dramma umano della morte di La stanza del figlio. Un'impresa che, solo a parlarne, sembrerebbe proibitiva ed in effetti il risultato non fa gridare al capolavoro. Ma non è nemmeno scarso. Moretti dimostra ancora una volta una indiscussa sensibilità e predisposizione nel raccontare storie del genere. Buono anche il tentativo di spezzare il ritmo compassato e l'inevitabile alone funereo con le scene di Turturro, vero mattatore di tutto il film nel film. Ma proprio questa che dovrebbe essere la forza di Mia Madre, potrebbe invece rivelarsi anche come punto debole e far scoprire il fianco a facili critiche. Una su tutte, quella di non essere né carne e né pesce e di svilire la parte drammatica. Apprezzabile la scelta di Moretti di interpretare un ruolo defilato, con una recitazione misurata e giusta, non rinunciando a quell'ironia che lo ha sempre contraddistinto e pur ricadendo comunque nella tentazione di rappresentarsi attraverso l'alter-ego di Margherita Buy che nei modi di fare e recitare la battute rieccheggia lo stile inconfondibile dell'attore/autore. La sceneggiatura regge e i dialoghi sono adeguati, regalando anche qualche momento divertente grazie soprattutto ad un Turturro allo stato brado e ad una Buy che tra una crisi di pianto ed un'altra riesce anche a farsi rispettare nel proprio lavoro sul set. Regia basilare ma efficace, come in ogni Moretti.


Mia Madre è un film che non convince pienamente soprattutto se paragonato all'intera filmografia di Moretti, che può vantare picchi di vera genialità, nonsense, filosofia, drammaticità e poetica. Purtroppo inferiore anche al recente Habemus Papam. Resta però, giudicato a sé, un film sincero in cui il regista rielabora a modo suo il lutto recente della madre e lo fa senza cercare la lacrima facile o di impietosire. Lo fa con delicatezza e garbo, ma forse con poca incisività. Su tutte spicca la scena della ricerca delle bollette a casa della madre, da cui il film inizia davvero ad ingranare, nonché i notevoli inframezzi evocativi e onirici, come la scena della passeggiata di Margherita a lato di una lunga fila per il cinema, in cui intravede se stessa. Non eccelso, ma si può vedere senza problemi.

venerdì 12 giugno 2015

HIGHWAYMEN - I BANDITI DELLA STRADA - Robert Harmon (2003)

Titolo originale: Highwaymen
Regia: Robert Harmon
Con: James Caviezel, Rhona Mitra, Colm Feore, Frankie Faison
Durata: 80 min
Paese: CAN    
Voto globale: **
Voto categ. (serial killer): ** 



Rennie Cray assiste al brutale assassinio di sua moglie, che viene investita all'improvviso da un pirata della strada. Passano 5 anni e l'autore dell'omicidio è in realtà un vero e proprio serial killer che viaggia per l'autostrade d'America causando incidenti e vittime. Due ragazze, Molly ed Alex vengono inseguite dalla misteriosa autovettura che le costringe ad un drammatico tamponamento in una galleria. L'auto ne uccide una e Rennie ne viene al corrente. Fa quindi la conoscenza di Molly, con cui scopre di avere molto in comune.


Innocuo film d'azione, con qualche buono spunto e molti difetti. Da considerare innanzitutto l'ingannevole sottotitolo italiano “I banditi della strada”, che lascia suggerire qualcosa di molto diverso da quello che poi ci ritroveremo a guardare. Difatti qua di banditi non è che ce ne siano molti, ma di sicuro non mancano inseguimenti, incidenti e affini. Si potrebbe affermare senza problemi che le vere protagoniste del film sono le auto, precisamente una Plymouth Barracuda del 1968 (quella di Ronnie) e una Cadillac Fleetwood Eldorado del 1872 (del serial killer Fargo). Tutto questo più che altro per la poca incisività degli attori, con un Jim Caviezel nella parte del vendicatore tormentato e la bella quanto inespressiva Rhona Mitra nelle vesti del personaggio col trauma da superare. La prima parte del film non promette male, certo, nonostante un incipit davvero accelerato, visto che l'evento scatenante di tutte le future vicende si consuma a bruciapelo nei primissimi minuti, prima di essere catapultati in avanti con la scritta “5 anni dopo”, accompagnata dalla voce fuori campo che ribadisce il concetto. Una regia per nulla da buttare, anzi, con qualche ripresa aerea che ricorda alla lontana quelle della famiglia Torrance in viaggio verso l'Overlook Hotel. Forse un po' troppo confusionaria nelle scene movimentate. Fotografia per certi versi buona. Ma ancora una volta, attori e una trama esile vanificano i discreti aspetti tecnici.


In partenza ci si sarebbe potuto aspettare bene altro da Highwaymen, che sulla carta si presenta quasi come un film a metà strada tra l'ottimo road thriller Duel di Spielberg e l'ormai classico horror Saw – L'enigmista, dato che anche qui abbiamo a che fare con uno psicopatico che comunica con i protagonisti (via radio). E invece ci troviamo di fronte ad un film che vorrebbe ma non riesce a colpire, grazie a scene spesso esagerate ed eccessive (l'auto letteralmente fatta saltare in aria e poi trascinata per chilometri, tra scintille e fiamme). In alcuni punti c'è la sensazione di deja vu con una puntata di Futurama. <<La macchina è il suo corpo. Fermi la macchina e fermi lui>> conferma Ronnie all'agente del dipartimento stradale Macklin, che avrà l'onore di essere inquadrato nell'ultimo e più stupido fotogramma del film.



venerdì 5 giugno 2015

LA BALLATA DI STROSZEK - Werner Herzog (1977)

Titolo originale: Stroszek
Regia: Werner Herzog
Con: Bruno Schleinstein, Eva Mattes, Clemens Scheitz
Durata: 115 min
Paese: GER      
Voto globale: ***
Voto categ. (USA life): **** 





Bruno Stroszek è un ungherese trapiantato in Germania. Dopo aver accumulato qualche problema con la giustizia per via del suo essere dedito all'alcool esce, a malincuore, di prigione e torna tra le strade di Berlino per ricominciare da capo. In un bar incontra una vecchia conoscenza, la prostituta Eva, maltrattata dai protettori. Bruno aiuta la ragazza e la invita a trasferirsi a casa sua, lasciatagli libera dal padrone Scheitz. Il vecchio Scheitz racconta ai due di suo nipote, un meccanico che vive e lavora nel Wisconsin. Bruno, Eva e Scheitz decidono di rifarsi una vita in America, senza considerare che il sogno americano non è per tutti.


Werner Herzog firma soggetto, sceneggiatura e regia di un film che altro non è che la parabola di uno sconfitto. Un personaggio non troppo gradevole (ma questo è dovuto alla poca credibilità dell'attore, che non è professionista e si vede perfettamente), ma con cui lo spettatore riesce comunque a stabile un qualche grado di empatia. Una storia abbastanza scarna e priva di particolari approfondimenti sui personaggi, che appaiono un po' abbozzati. Non manca pure qualche momento di troppo, anche se la visione non ne risulta tanto appesantita. La regia non è certo pulita e formale, alternando camera a mano e tagli di montaggio alle volte bruschi e netti. Decisamente meglio la parte “americana” rispetto a quella “tedesca”, vista qualche lungaggine di troppo e il poco interesse suscitato dai protettori di Eva. Convincente invece il personaggio di Scheitz, un vecchio ma ancora speranzoso signore che non ha nulla da perdere, ottimamente interpretato da Clemesn Scheitz, anche lui non professionsta eppure bravo. La ballata di Stroszek risulta riuscito più nelle immagini e nei simbolismi che nei dialoghi, magari anche penalizzati da un doppiaggio non sempre opportuno. Fotografia non eccelsa e musiche country a volte fastidiose, ma che contrastano bene con le situazioni proposte. Davvero molto bella e poetica la scena in ospedale con il bimbo prematuro, che si contrappone, con lo senno di poi, all'inevitabile destino dello sventurato Bruno. Grottesca e amara la scena dell'asta, comunque di grande impatto.


L'impressione è quella di aver assistito ad un film riuscito a metà. Resta molto apprezzabile l'aver descritto una storia di speranza e sconfitta, che distrugge letteralmente il mito del sogno americano. <<Lì in America tutti fanno fortuna, la faremo anche noi>> dice Eva a Bruno, non considerando che la fortuna non è per tutti. Troppo brusco e poco giustificato l'evoluzione del personaggio di Eva, fino ad una uscita di scena esagerata. Inteneriscono Scheitz e i suoi esperimenti sul magnetismo, mentre è proprio Bruno a lasciare spesso indifferenti. Buoni e agghiaccianti la cordialità e il cinismo del delegato della banca. Film da premiare nel messaggio e nei contenuti ma meno nella realizzazione. Si può vedere senza problemi comunque, a patto di essere consapevoli dell'alto potere depressivo del film.

venerdì 29 maggio 2015

ESSI VIVONO - John Carpenter (1988)

Titolo originale: They Live
Regia: John Carpenter
Con: Roddy Piper, Keith David, Meg Foster, George Flower, Peter Jason
Durata: 93 min
Paese: USA      
Voto globale: ****
Voto categ. (sci-fi): *** 1/2




Un disoccupato vagabondo, John Nada, arriva a Los Angeles cercando disperatamente un qualsiasi tipo di lavoro. Fin da subito si accorge della presenza di predicatori che mettono in guardia da presunte forze oscure che dominerebbero gli uomini. Trova un impiego in un cantiere ed un alloggio in una baraccopoli grazie ad un amico che lavora con lui, Frank. Una notte John nota che in una chiesa vicina c'è uno strano movimento a notte tarda. Il luogo è infatti una base di un segreto gruppo di individui che ha preso coscienza di una triste verità: l'uomo è in realtà schiavo di esseri orrendi che vivono, mangiano e dormono come tutti quanti gli altri e che manipolano il pensiero e i comportamenti delle persone grazie alle tv e ai mezzi di informazione in genere.


John Carpenter, dopo l'affermazione negli anni '70, arriva dal non indifferente insuccesso commerciale di Grosso Guaio a Chinatown, snobbato sia da pubblico che da critica. Il flop lo mette ai margini dell'industria e i finanziamenti diventano sempre più difficili da ottenere. Nonostante il momento critico Carpenter strappa un contratto con la Universal e firma un serie di film tra cui spicca appunto Essi Vivono, che per quanto non venne mai considerato un capolavoro, resta un'opera interessantissima e ben riuscita. Di sicuro sempre affascinante è l'idea della realtà celata nella finta realtà che si crede vera (con molti anni di anticipo su Matrix). John Nada, interpretato degnamente dall'ex wrestler Roddy Piper, diventa un vero e proprio eroe inconsapevole che combatte, e non potrebbe fare altrimenti, contro un nemico che pare ben insediato nella società moderna. Davvero spettacolare la scena della “rivelazione”, cioè il momento in cui Nada indossa per la prima volta gli occhiali (ottima trovata) che permettono di vedere il mondo per come è realmente. I messaggi pubblicitari sono in verità inquietanti slogan che inducono alla sottomissione, alla soppressione dell'immaginazione, all'acquisto facile e perfino al matrimonio e alla riproduzione! Grande inizio con l'arrivo di Nada in una Los Angeles piena di squilibri sociali (anche se il retro copertina del dvd riporta inspiegabilmente che il film è ambientato a New York), le prime avvisaglie del nemico, le parole dei predicatori, la scoperta degli occhiali e il finale. Un finale che lascia l'amaro in bocca e che allo stesso tempo dà speranza. Inoltre qui è possibile assistere alla scazzottata più assurda e delirante della storia del cinema. Carpenter dietro la macchina da presa ci sa fare e si vede. Un plauso va anche al direttore della fotografia Gary Kibbe, che illuminò con pochissima luce a disposizione scene spesso girate di notte.



Un film che potrebbe, e forse lo è già, essere il punto di riferimento di qualunque amante dei complotti. Difatti qui c'è un po' di tutto tra messaggi subliminali, alieni, controllo mentale, segreti governativi e molto altro. Ma a mio avviso l'intento di Carpenter era un altro. Essi Vivono non è banalmente un film complottaro ma è un film che si propone l'obiettivo di provocare una riflessione sul mondo in cui viviamo e l'innegabile facilità come il nostro modo di pensare, le nostre abitudini e i nostri comportamenti siano influenzabili a scopi commerciali, per non dire peggiori. Stiamo parlando di un cult da vedere. Certo, resta qualche piccola ingenuità e qualche dialogo sopra le righe, ma il dito medio di John Nada vale più di mille parole.

mercoledì 27 maggio 2015

YOUTH - LA GIOVINEZZA - Paolo Sorrentino (2015)

Titolo originale: La Giovinezza
Regia: Paolo Sorrentino
Con: Michael Caine, Harvey Keitel, Paul Dano, Rachel Weisz, Jane Fonda
Durata: 118 min
Paese: ITA, FRA, SWI, UK     
Voto globale: ****
Voto categ. (Sorrentino): ****



Fred e Mick, due amici di lunghissima data, direttore d'orchestra affermato il primo e stimato regista il secondo, trascorrono una breve vacanza in un hotel di lusso in Svizzera, in mezzo alle alpi e a tanto verde. Fred è totalmente apatico e riluttante a qualsiasi tentativo di riprendere in mano la propria attività artistica, anche quando a chiederglielo è addirittura la regina d'Inghilterra. Mick invece è entusiasta e pieno di idee per il suo prossimo ed ultimo film, “L'ultimo giorno della vita”, che si annuncia come il proprio testamento artistico. Nel mezzo, un giovane attore capace ma in cerca di se stesso, un Maradona appesantito ma sempre talentuoso, una miss Universo che stupida non è, coppie misteriosamente silenziose e tanti personaggi curiosi che si aggirano presso lo Schatzalp Hotel.


Dopo il meritatissimo e mai troppo sottolineato exploit de La Grande Bellezza Paolo Sorrentino torna nelle sale esattamente a due anni di distanza, con un film che prima delle riprese definì <<piccolo>>. E Youth è infatti un piccolo film, non nella realizzazione e nei contenuti, ma solo per le ambientazioni e i tempi concentrati, se messo a paragone con la continua eterogeneità della Roma e dei ricordi di Jep Gambardella. Un piccolo film che è di certo un'evoluzione e un passo avanti nello stile e nella cifra stilistica di Sorrentino, che oramai si consolida ed è riconoscibile a tutti. Parliamoci chiaro, attualmente non esiste in Europa, e forse anche oltre, qualcuno con la stessa padronanza e consapevolezza del mezzo, e questa è una verità che sono costretti ad accettare anche i detrattori più appassionati. Allo stesso tempo Youth è un film che delude per certi versi, perché non è, a differenza di buona parte dei precedenti titoli del regista, un film “completo” e “totale”. Si avverte una certa mancanza, qualcosa che non c'è, come una maggiore attenzione al rapporto tra i due vecchi amici oppure all'evoluzione dei personaggi nel corso degli eventi, che sì si avverte, ma avrebbe meritato più rilievo. Dal punto di vista tecnico e visivo inutile dire che qua raggiungiamo vette altissime e Sorrentino in regia – spesso più pacata e riflessiva che mai – e Luca Bigazzi alla luci riuscirebbero a rendere interessante, affascintante e poetico anche un cartello stradale mezzo cadente. 



Il merito del film è quello di restare in testa a distanza di giorni e di lasciare la sensazione, pur non avendolo apprezzato in toto, di aver assistito al cinema puro. Questo perché con Sorrentino prima che di un film si può parlare di esperienza. Eppure con Youth, la frammentarietà narrativa e le suggestioni visive e musicali per quanto in gran parte azzeccate potrebbero fornire l'assist perfetto a chi, senza colpa, non riesce a capire la classe dell'autore napoletano. Youth non è il miglior film di Sorrentino ma è ugualmente in grado di sovrastare la quasi totalità delle attuali produzioni italiane ed estere. Riesce alla grande la direzione di un super cast internazionale, con il passivo Caine (in realtà qui non proprio eccezionale), un ottimo e simpatico Keitel, un bravissimo Paul Dano, una molto buona anche se superflua Rachel Weisz e una straordinaria Jane Fonda che con due sole apparizioni ruba la scena a tutti. Sfido a non definire imbarazzante la “direzione delle mucche.” Paloma Faith... ah, vedere per credere. Un film dedicato a Rosi, ma che personalmente avrei azzardato dedicato a Monicelli. 


Che cos'è la giovinezza? Il titolo potrebbe apparire in realtà ironico rispetto a ciò che è mostrato, ma magari la giovinezza è il pur minimo desiderio di svegliarsi dall'apatia, o più semplicemente una ragazza con le trecce che si diverte a giocare a Just Dance. Come ogni Sorrentino, merita e necessita triple e quadruple visioni e questo fa capire quanto questa recensione sia incompleta e provvisoria.

giovedì 21 maggio 2015

STALKER - Andrej Tarkovskij (1979)

Titolo originale: Сталкер
Regia: Andrej Tarkovskij
Con: Aleksandr Kajdanovskij, Anatolij Solonicyn, Nikolaj Grin'ko, Alisa Frejndlikh, Natasha Abramova 
Durata: 163 min
Paese: URRS, GER EST      
Voto globale: ***** !
Voto categ. (fantasc.): ***** !


In un mondo spento e monocromatico esiste un luogo inaccessibile, recintato e sorvegliato dai militari, la Zona, in cui anni prima pare sia caduto un meteorite e in cui le cose sembrano andare in modo diverso. Ci sono colori, le vegetazione è rigogliosa, la natura regna incontrastata. La Zona è un'area vitale e pericolosa per l'uomo incosciente, ma è benevolente con gli ultimi, gli infelici, quelli che non hanno più nulla da perdere. Sembra inoltre ci sia, nella Zona, una speciale stanza in cui è possibile entrare, chiedere qualunque desiderio ed ottenerlo. Uno Stalker, una guida che si occupa di portare clandestinamente gente al di là delle recensioni e condurla nella Zona parte insieme ad un professore di fisica e ad uno scrittore.


Premetto già da ora che questa sarà forse la recensione più superficiale del blog, ma il fatto è che ci sarebbe troppo da dire. Tratto da Picnic sul ciglio della strada dei fratelli Strugackij, Stalker è un capolavoro di Andrej Tarkovskij, un film che allo stesso tempo riesce ad essere bello, criptico eppure per molti versi molto chiaro ed esplicito. Dopo un incipit molto compassato, con la presentazione del personaggio dello Stalker e della sua famiglia, veniamo subito introdotti al tema della Zona, che nel film è un posto reale e fisico ma che potrebbe benissimo essere considerato un luogo simbolico ed immaginario, per certi versi mentale. Azzeccatissima la scelta dei personaggi: un fisico, quindi un uomo di scienza che ha per forza di cose il pallino della ricerca della verità ad ogni costo e uno scrittore senza più ispirazione, un uomo che crea arte e rifugge dalla verità, perché è mutevole e mai coerente con se stessa. Tra loro vi è lo Stalker, probabilmente la figura più complessa. Un uomo che vive il proprio lavoro come una condanna, una condanna però piacevole dato che per egli ogni luogo è una prigione ed è solo nella Zona che riesce a trovare quegli attimi di felicità e pace che non troverebbe mai nel mondo. Stupenda la riflessione sul fatto che è ciò che desideriamo realmente (ed incosciamente) e non ciò che sbandieriamo viene realizzato dalla Zona. Come tutti i film di Tarkovskij fondamentale è il rapporto con la natura (il regista lavorò come geologo), che appare come vera costante protagonista grazie a degli scorci suggestivi e bellissimi che accompagnano il film. Il vero elemento chiave però è l'acqua: cascate, fiumi, piccoli stagni, pioggia. Acqua ovunque. Fotografia a livelli altissimi ed una regia che non può che essere definita eccezionale, forse una delle cose più belle che si possa vedere. Davvero.


Stalker sembra un film che vuole prima di tutto mettere alla prova lo spettatore, visto che la visione non è sicuramente una delle più facili ed agevoli. Le oltre due ore si sentono tutte, ma non affatto per la pesantezza della pellicola! La durata si avverte in senso positivo, perché ogni singola inquadratura non è mai sprecata, c'è sempre qualche significato più o meno accessibile che meriterebbe di essere approfondito nel dettaglio. Eccellenti i dialoghi dei tre, su cui spiccano le polemiche tra lo scrittore e il professore, nonché i monologhi dello Stalker. Finale incredibile con due personaggi in apparenza minori, ma che in realtà potrebbero essere la vera chiave del film: la moglie e soprattutto la figlia dello Stalker. L'ultima scena fa rimanere abbastanza a bocca aperta. Tarkovskij dichiarava di cadere <<in uno stato di rabbia e disperazione>> a sentire la domanda <<Cos'è la Zona?>>. Il regista russo rispondeva che <<La Zona è la Zona, la Zona è la vita: attraversandola l'uomo si spezza o resiste>>.

venerdì 15 maggio 2015

SANTA SANGRE - Alejandro Jorodowsky (1989)

Titolo originale: Santa Sangre
Regia: Alejandro Jorodowsky
Con: Cristobal Jorodowsky, Blanca Guerra, Guy Stockwell, Thelma Tixou, Adan Jorodowsky
Durata: 123 min
Paese: MES, ITA      
Voto globale: ***
Voto categ. (surreale): *** 1/2



Fenix è un bambino prestigiatore che vive con il padre, un omaccione grande e grosso con qualche tratto effemminato che è poi il direttore del circo in cui si esibisce, e la madre, una specie di sacerdotessa di un culto non risconosciuto che venera una ragazza che anni prima venne violentata e alla quale tagliarono le braccia. Un giorno le autorità decidono di radere al suolo la chiesa, dove tra l'altro è custodito il “santa sangre”, il sangue santo, con ferma e determinata opposizione della madre del piccolo. Di lì a poco la donna scopre il marito intento a tradirla e lei sfigura lui e l'altra donna con dell'acido, mentre il marito si vendica amputandole le braccia proprio come accadde alla ragazza del culto. Fenix rimane per sempre traumatizzato e finisce in una comunità di recupero in cui assume atteggiamenti animaleschi.


Jorodowsky è (almeno stando a Wikipedia), prima che regista cinematografico, scrittore, fumettista, saggista, drammaturgo, tarologo e poeta! Già da questo si dovrebbe capire senza problemi che nei suoi film è facile ritrovare diverse e varie confluenze, visto che possiamo definire l'autore cileno un artista a tutto tondo. Un artista anche un po' folle, in senso positivo, ovvio. Dopo il western metafisico de El Topo (capolavoro senza sé e senza ma) e l'allucinato La Montagna Sacra (altro flmone senza dubbio), Jorodowky ritorna questa volta con quello che potremmo definire a tutti gli effetti un... horror/thriller. E addirittura slasher, visto che le morti, gli accoltellamenti e il sangue non mancano di certo. Il film alterna momenti più riconoscibili del regista cileno (basti pensare alla scena del funerale dell'elefante o quelle delle “allucinazioni”) ad altri che meno assoceremmo all'autore, tra cui spiccano le scene degli omicidi, che ricordano più i film di Dario Argento (e il film è prodotto dal fratello Claudio) che le opere precedenti di Jorodowky. E c'è da dire che queste scene sono forse le meno riuscite del film. Per il resto la pellicola viaggia a fasi intermittenti, con più di un momento di noia riscattato però da quegli inframezzi surreali e strambi che caratterizzano la filmografia del regista. Una regia non proprio eccellente e una fotografia che gioca molto sui colori, con uno su tutti: il rosso, chiaramente. Musiche a volte forzate.


Convince a metà questa produzione italo-messicana di fine anni '80. Per carità Jorodowsky è un regista per molti versi geniale e anche in Santa Sangre il talento del cileno si fa sentire. D'altra parte non si può tacere il fatto che questa contaminazione tra drammatico e horror risulta un po' impacciata, visto che la tensione latita a favore del grottesco. Per il resto si assiste ad un interessante ritratto psicologico di Fenix (intepretato da Cristobal Jorodowsky, figlio di Alejandro), che metabolizza il trauma subito alla propria maniera, di certo non indolore. Ottimo anche il ritratto del rapporto "gestuale" con la madre Concha, che a più di uno spettatore ricorderà Psyco. Molto bello anche il personaggio della ragazza sordomuta, forse unica vera amica del protagonista e simbolo di speranza nella storia. Si ammira la capacità del regista di rendere poetico ciò che in mani d'altri sarebbe solo trash, ma resta una visione non per tutti. Finale notevole e che fa tutto sommato rivalutare in positivo il film!